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Nuove classi di concorso: lo stop al loro rinnovo non può che trovare l’Anief d’accordo: l’idea del Ministro Profumo di approvare un decreto privo del consenso parlamentare e del confronto con le parti interessate avrebbe portato a un decreto ministeriale debole. E quindi esposto ad un altissimo numero di contenziosi.

Il sempre più probabile mancato rinnovo delle classi di concorso dei docenti non può che trovare l’Anief d’accordo. Il loro restyling frettoloso, senza confronto parlamentare, oltre che con le parti direttamente interessate, avrebbe portato alla stesura di un decreto non ragionato, pieno zeppo di errori, oltre che irrispettoso delle regole. Il nostro sindacato ha infatti sempre sostenuto che la via maestra, oltre che unica, per mettere mano alle classi concorsuali rimane quello di approvare un nuovo regolamento della materia con il consenso necessariamente delle commissioni parlamentari.

“Decidere di aggirare questo percorso obbligato, approfittando del particolare momento storico di fine legislatura, con le elezioni politiche e amministrative imminenti, avrebbe senza dubbio portato all’approvazione di un decreto ministeriale debole. E quindi esposto ad un altissimo numero di contenziosi”, ha dichiarato Marcello Pacifico, il presidente dell’Anief.

“Anche se con molto ritardo, il ministro Profumo ha evidentemente compreso che insistere su questa strada sarebbe stato per il dicastero da lui diretto davvero pericoloso. Perché le procedure normative vanno sempre rispettate. Senza rincorse o salti improvvisi. I cui effetti negativi si sarebbero presto riversati su diverse migliaia di lavoratori. Anche la politica di introdurre gradualmente le nuove classi di concorso, in questa prima fase valide solo per i concorsi rinnovati e Tfa speciali, – conclude il presidente Anief – avrebbe condotto ad un solo risultato sicuro: alimentare il caos amministrativo e incrementare la complessità della burocrazia scolastica”.

 

Si va verso un’affrettata approvazione da parte delle Commissioni Cultura. Con le scuole che si vedranno assegnare meriti e fondi sulla base di freddi incartamenti e verifiche – redatti da organi esterni, quali Invalsi, Indire e Corpo ispettivo – che non tengono conto della centralità dell’alunno, del Pof e dell’autonomia scolastica. Con il risultato che le scuole e gli alunni più in difficoltà per motivazioni oggettive, come la provenienza da territori o famiglie svantaggiate, invece di essere adeguatamente sostenute, si ritroveranno ad essere classificate come meno meritevoli.

La Commissione Cultura del Senato sembrerebbe orientata ad approvare in tempi brevi il Regolamento sul sistema di valutazione degli istituti: l’accelerazione dei tempi sarebbe dovuta alla necessità di far accedere l’Italia ai finanziamenti previsti dai fondi strutturali europei per i prossimi sette anni.

A quanto risulta, i rilievi mossi da Cnpi e dal Consiglio di Stato non avrebbero avuto adeguato accoglimento. Con il risultato che gli istituti scolastici si ritroveranno ad essere valutati da tre istituti - Invalsi, Indire e Corpo ispettivo – che valuteranno gli istituti in modo del tutto avulso rispetto alla realtà: si determinerà l’assurda situazione di assegnare meriti e fondi sulla base di dati teorici, stampati sulla carta ma non nei fatti, senza alcun riscontro degli elementi scolastici che contano. Come la provenienza socio-economica degli alunni, l’analisi e le esigenze del territorio, il livello culturale delle famiglie. Senza contare la mancata considerazione per le indicazioni contenute nel Piano dell’offerta formativa redatto da ogni scuola.

Appare evidente che se venisse approvato questo regolamento, le scuole più in difficoltà ed i loro alunni si ritroverebbero affossati. “Il regolamento di valutazione degli istituti in via di approvazione - dichiara Marcello Pacifico, presidente dell’Anief – non tiene minimamente conto di aspetti centrali per le caratteristiche dell’offerta formativa e dei livelli di didattica raggiungibili. Ignora del tutto, inoltre, l’inevitabile influenza del territorio sulla qualità della didattica. Tutti elementi che influiscono pesantemente sul curricolo degli alunni. E sul Pof di ogni istituto”.

Per tutti questi motivi l’Anief non può che opporsi a questo miope modo di classificare gli istituti. “La nostra presa di posizione – spiega Pacifico – non è un volersi opporre all’introduzione del sistema di valutazione delle scuole. Ma, di sicuro, questa non può limitarsi alla fredda compilazione di moduli o slide ministeriali. Né tantomeno alla somministrazione di prove Invalsi, che snaturano la centralità dell’alunno, del Pof e dell’autonomia scolastica. Approvare un modello di questo genere – conclude il presidente Anief – smonterebbe, in poche parole, il processo docimologico avviato nell’ultimo ventennio”.

 

L’Anief si appella ancora una volta ai governatori: fate rispettare la legge. Tutto il resto sono accordi a perdere e incostituzionali.

“La legge indica i principi generali, poi le regioni le declinano sulla base del rispetto dei territori. Come ribadito dalla Consulta. Ogni diversa interpretazione è incostituzionale”. È questo il pensiero dell’Anief a proposito dell’accordo che sarebbe in dirittura d’arrivo in Conferenza unificata per definire i nuovi criteri del dimensionamento delle istituzioni scolastiche italiane.

Dopo l’inconcepibile taglio di 2 mila istituti, attraverso la Legge 111 del 2011, ritenuto illegittimo dalla Corte Costituzionale, Anief conferma la volontà di ricorrere ai Tar regionali per bloccare un arbitrio che rasenta la follia.

“In questo modo si lasciano le famiglie allo sbaraglio – dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief – proprio nei giorni in cui si stanno per completare le iscrizioni di quasi due milioni di alunni. Ma lo Stato non può unilateralmente cambiare la normativa, introducendo dei criteri chiaramente parziali e a proprio vantaggio. Né lo possono fare le Regioni, che sembrano voler accettare l’accordo. E non richiamare i principi di legge. I quali rimangono sempre, è bene ricordarlo, lo strumento principe. Anche per realizzare l’organico scolastico”.

L’Anief ribadisce quindi tutta la propria contrarietà verso questa scelta. E invita anche i decisori politici a livello locale a porre fine a questo stato di illegittimità, tanto più grave alla luce delle iscrizioni in corso.

Praticamente nullo va considerato, se è questo, il parere della Conferenza unificata. “Senza tenere conto della normativa previgente alla legge 111 del 2011 – conclude il presidente Pacifico - si sta cercando un improbabile accordo con un Governo dimissionario, che non può essere ratificato da questo Parlamento. E la cui eventuale approvazione metterebbe in estrema difficoltà anche il nuovo Governo che uscirà dalle elezioni politiche di fine febbraio”.

 

Mentre in Europa si procede verso l’educazione permanente e la formazione di qualità, una commissione di pseudo-esperti consiglia al Miur di far fare all’Italia un ulteriore passo verso l’insuccesso formativo. Se l’indicazione dovesse avere seguito, il nostro sindacato si opporrà in tutte le sedi, a partire da quelle legali. Il presidente, Marcello Pacifico: se occorre proprio risparmiare 1 miliardo e 380 milioni di euro, allora si recuperino sottraendoli dagli stipendi iperbolici dei parlamentari.

L’Anief si opporrà in tutte le sedi, ad iniziare da quelle legali, contro la riduzione del percorso scolastico di un anno e il conseguimento del diploma di maturità a 18 anni: le indicazioni della Commissione tecnica di esperti, incaricata dal ministro dell’Istruzione Francesco Profumo di riformare il percorso scolastico, lasciando “invariate le risorse umane e materiali attuali e mantenendo l'impegno generale al miglioramento degli esiti di apprendimento”, hanno un solo scopo: risparmiare 1 miliardo e 380 milioni di euro annui. Dietro a questa scelta, infatti, non c’è nulla di didattico e di pedagogico.

“Ancora una volta – commenta Marcello Pacifico, presidente dell’Anief – si commette un errore a priori gravissimo: considerare la scuola un lusso, che in tempo di crisi non ci possiamo più permettere. Ma allora perché gli altri Paesi europei, ad iniziare dalla Germania, continuano ad investire sull’istruzione? Semplicemente perché la considerano, giustamente, un investimento per risollevare la competitività del Paese e salvaguardare il futuro formativo e professionale delle nuove generazioni”.

Decidere di cancellare un anno di scuola, penalizzando il percorso della scuola superiore, ridotto da 5 a 4 anni, andrebbe inoltre in controtendenza rispetto alle politiche formative di tutta l’area Ocse, dove l’istruzione sta diventando di tipo permanente. Il presidente Pacifico propone, quindi, un modo diverso di recuperare quei soldi: “piuttosto che sottrarli alla formazione di nostri giovani, si recuperino riducendo gli stipendi iperbolici dei parlamentari”.

“Dare seguito ad una scelta scellerata come quella indicata dagli pseudo-esperti di istruzione sarebbe un vero suicidio. Ad avvantaggiarsene sarebbero solamente il Ministero dell’Economia e la cerchia di coloro che da tempo cercano di ridurre la qualità della formazione scolastica italiana, anche tentando di abolire il valore legale del titolo di studio. In una società sempre più incentrata sull’hi-tech e sulle alte competenze – conclude il presidente dell’Anief - , anticipare a 18 anni il termine degli studi produrrebbe, in sintesi, un ulteriore avvicinamento verso l’insuccesso formativo”.

 

In questi giorni non si fa che parlare di problemi di connessione al sito del Miur e della capacità del sistema informatico approntato dal Ministero dell’Istruzione per accogliere circa 1 milione e 700 mila iscrizioni scolastiche in poco più di 30 giorni. Nessuno però si preoccupa del fatto che almeno 300 mila di queste iscrizioni sono illegittime e dovranno essere riformulate. E questo perché, come sottolineato di recente dalla Corte Costituzionale attraverso la sentenza n. 147/12, il 20 per cento degli istituti sono stati immotivatamente soppressi o accorpati dal Miur.

L’Anief nei giorni scorsi ha mosso i primi passi perché ciò avvenga, scrivendo ai governatori di tutte le regioni italiane per chiedere spiegazioni sulla mancata applicazione della sentenza della Consulta, che ha sottratto all’amministrazione centrale la potestà sul dimensionamento scolastico e affidato proprio alle regioni il potere decisionale sulla materia. Ma non solo: il giovane sindacato presto raccoglierà tutti gli elementi utili e si rivolgerà ai Tribunali amministrativi regionali.

Secondo Marcello Pacifico, presidente dell’Anief, quella di far iscrivere di nuovo i propri figli in istituti diversi dagli attuali è quindi molto più che una eventualità. “Saranno i giudici – spiega Pacifico – a cassare quello su cui il premier Monti e il suo esecutivo all’ultimo momento hanno deciso di soprassedere: sto parlando dei decreti di rideterminazione della rete scolastica, in particolare il c. 4, art. 19, della Legge 111/11, attraverso cui l’ultimo governo Berlusconi aveva illegittimamente deciso, senza l’indispensabile parere della Conferenza Stato-Regioni, di sopprimere dall’anno scolastico in corso ben 2.611 istituti pubblici”.

Quanto accaduto è ancora più grave, dal momento che il governo è di fatto ritornato sui propri passi, stralciando quanto riportato nel disegno di legge di stabilità (n. 5534) presentato ad ottobre dallo stesso esecutivo: il comma 36 dell’art. 1, infatti, prendeva atto della decisione della Corte costituzionale e preannunciava una nuova intesa Stato-Regioni per l’attuazione di un nuovo dimensionamento in base al numero di 900 alunni per le scuole di ogni ordine e grado, precisando che valeva soltanto per l’a.s. 2012/13 quanto previsto dal c. 5, art. 19 dalla stessa L. 111/11 per le scuole superiori dove, peraltro, doveva essere disciplinata la reggenza e non la soppressione indebita di 236 scuole superiori.

Il risultato è che nell’anno scolastico in corso ci ritroviamo con 2.611 scuole soppresse illegittimamente: 1.404 appartengono all’infanzia, sono primarie e circoli didattici, 2.375 nel primo ciclo di istruzione, 39 istituti professionali, 174 istituti tecnici e 23 licei. Quasi la metà dei tagli al Sud in Campania, Sicilia, Puglia e Calabria, anche il Lazio a quota meno 300 istituti.

È indicativo, a tal proposito, che persino, l’ARAN, sempre dopo un’articolata denuncia dell’Anief, sia intervenuto sulla questione il 22 novembre scorso, chiarendo che le RSU elette lo scorso marzo nelle scuole dimensionate rimarranno in carica per tutto il loro mandato, viste le novità normative previste proprio nel disegno di legge di stabilità (n. 5534) presentato ad ottobre dal Governo.

“Giunti a questo punto – conclude Pacifico – per l’Anief sarà inevitabile ripercorrere quella via giudiziaria il cui iter era stato sospeso lo scorso autunno in virtù delle nuove regole che sembrava dovessero essere approvate. Rimane il rammarico, perché si sono persi mesi preziosi. E perché ora si stanno ingannando oltre 300 mila famiglie: presto quelle scuole dove stanno iscrivendo i figli torneranno ad avere la loro autonomia. E loro dovranno rifare l’iscrizione”.