Sono 320mila i dipendenti pubblici che non si sono sottoposti a vaccinazione anti Covid19, “con percentuali estremamente variabili (anche 2 ordini di grandezza) tra un territorio e l’altro”, a fronte di un numero complessivo di poco superiore a 3,2 milioni: la stima è contenute nella Relazione illustrativa del Dpcm dello scorso 23 settembre con il quale il Governo Draghi ha introdotto il rientro in presenza nelle amministrazioni pubbliche a partire dal prossimo 15 ottobre. Nello stesso decreto, il Governo non affronta però le motivazioni che hanno portato “a decorrere dal 15 ottobre 2021”, seppure in modo “graduale”, alla “modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle amministrazioni” indicate nel decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001: il CdM non va oltre alla generica esigenza di “consentire alle amministrazioni pubbliche di operare al massimo delle proprie capacità”. Sempre secondo la Relazione illustrativa, il Green Pass obbligatorio è “una circostanza che rafforza la cornice di sicurezza del lavoro in presenza e che consente di rafforzare la necessità di superare la modalità di utilizzo del lavoro agile”.
“Viene da chiedersi – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – quali sono le misure di sicurezza per tutelare il personale alle dipendenze dello Stato che tornerà al lavoro in presenza. Come già accaduto nella scuola, dove si contano circa mille classi in quarantena e dad a pochi giorni dal ritorno all’attività didattica in classe, è dimostrato che il certificato verde obbligatorio non è uno schermo adeguato a non infettarsi dal Covid. Inoltre, viene da chiedersi come si possano lasciare a casa, sospesi e senza stipendio, oltre 300mila lavoratori pubblici ancora non vaccinati: molti di loro non si sono sottoposti alla vaccinazione per motivi di salute e di incompatibilità con il vaccino. Almeno per loro, non si poteva prevedere il mantenimento dello smart working, sul quale a marzo vi era stato anche un accordo applicativo con la parte pubblica sottoscritto all’Aran anche da Cisal?”.
La Nota di aggiornamento del Documento di Economia a Finanza 2021 è in linea con quella dello scorso anno: dall’attuale 3,9% di spesa, rispetto al Pil, dedicata all’Istruzione si scenderà progressivamente, nei prossimi due decenni, ad un misero 3,2%. E su quella stima si rimarrà fino al 2070! Per Anief è una previsione scandalosa: secondo il suo presidente nazionale, Marcello Pacifico, “anziché allinearci con i Paesi europei e mondiali più avanzati, dove si spende per l’istruzione dei cittadini anche il doppio di quanto investiamo noi, si decide di fare l’esatto contrario. Confermando dunque l’italico assioma istruzione uguale spesa. Non ci siamo, pensavamo e lo speriamo ancora, che con i miliardi del Pnrr le cose cambiassero mentre il Def 2021 menziona il Recovery Fund solo per la riforma del reclutamento: i numeri e le percentuali emesse dal Mef ci dicono che la scuola e la formazione possono ancora una volta attendere, così manterremo le classi con numeri altissimi di alunni, le aule microscopiche, le sedi scolastiche autonome insufficienti, gli organici non all’altezza, il tempo scuola inadeguato. Con tutto quello che comporta sul fronte dell’apprendimento ridotto. Questa programmazione pluriennale, se confermata, costituisce un errore politico imperdonabile”.
Nel documento, inoltre, prima si sostiene che le risorse di bilancio serviranno per potenziare l’Istruzione e la Ricerca pubblica, ma poi le previsioni della spesa comportano un incremento dei costi di una serie di “voci” prioritarie, come le cure a lungo termine per i cittadini anziani, sarà compensato da riduzione dei fondi destinati proprio all’Istruzione. All’interno del paragrafo sull’Istruzione si citano solo le lauree abilitanti e l’alta formazione.
La Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanze approvata oggi registra una tendenza già purtroppo consolidata: è previsto un calo della spesa destinata all’Istruzione fino al 2040, a dispetto di promesse di investimenti e innovazioni. L’andamento della spesa per l’Istruzione rimarrà poi complessivamente stabile fino al 2070 attestandosi intorno al 3,2% del PIL a fronte di una media europea del 4,6%. Anche i nuovi capitoli di investimento introdotti dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) non riguardano ancora riforme strutturali per il potenziamento del sistema e il reclutamento dei docenti.
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